Page 100 - Bollettino I Semestre 2019
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L'inquadramento soggettivo delle persone portatrici di pericolosità cd. semplice era stato operato
            - in primo grado - in riferimento a quanto previsto sia dall'art. 1, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del
            2011  (sul  presupposto  che  i  due  soggetti  sottoposti  a  prevenzione  personale  fossero

            abitualmente dediti a traffici delittuosi), che dall’art. 1, co. 1, lett. b), stesso d.lgs. (in quanto il
            provento dei reati commessi sarebbe  stato destinato, almeno in parte, alle esigenze di vita:
            all’uopo erano state valorizzate risultanze istruttorie contenute in due titoli cautelari emessi in
            sede penale, riguardanti plurime condotte di usura ed estorsione consumate nel corso degli anni

            antecedenti, a partire dal 2002 e fino al 2013).

            La  Corte  di  appello  non  aveva,  peraltro,  compiuto  alcuna  specificazione  ulteriore  circa

            l'inquadramento soggettivo della classe di pericolosità, limitandosi a richiamare in proposito i
            contenuti  del  primo  decreto,  ed  aveva  in  ampia  parte  confermato  il  giudizio  di  sproporzione
            reddituale e la riconducibilità di fatto degli investimenti ai soggetti portatori di pericolosità.


            2.2. La sentenza in esame ha premesso che due circostanze essenziali, valorizzate di ufficio,
            imponevano l’annullamento con rinvio del decreto impugnato:

            - in sede di merito era stato applicato, quanto all'inquadramento soggettivo dei proposti in una

            delle  categorie  tipizzate  di  pericolosità,  anche  l’art.  1,  lett.  a),  d.lgs.  n.  159  del  2011,  sul
            presupposto che l'attività di usura integrasse un “traffico delittuoso” cui i due soggetti sottoposti
            anche a prevenzione personale erano dediti;


            -  era  nelle  more  sopravvenuta  la  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  24  del  2019,  «i  cui
            contenuti devono essere oggetto di valutazione anche di ufficio (fermo restando che il tema del
            contrasto  con  i  principi  costituzionali  e  convenzionali  è  trattato  nel  ricorso),  ai  sensi  della

            previsione  di  legge  di  cui  all'art.  609,  comma  2,  c.p.p.»  (peraltro  richiamando  decisioni
            giurisprudenziali  sempre  inerenti  a  sopravvenute  declaratorie  d’illegittimità  costituzionale
            variamente  riguardanti  il  trattamento  sanzionatorio  previste  per  il  reato  di  volta  in  volta
            contestato all’imputato: Sez. U., n. 33040 del 2015; Sez. 6, n. 14995 del 2014; Sez. 6, n. 37102

            del 2012).

            Ha poi diffusamente illustrato il contenuto della richiamata sentenza n. 24 del 2019 della Corte

            costituzionale, in particolare evidenziando che essa, contestualmente alla plurime declaratorie
            d’illegittimità costituzionale pronunciate, ha anche ritenuto la disposizione di cui l’art. 1, lett. b),
            d.lgs. n. 159 del 2011 (riguardante i soggetti che, per la condotta ed il tenore di vita, debba

            ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi
            di  attività  delittuose),  nell’interpretazione  datane  dai  più  recenti  orientamenti  della
            giurisprudenza  di  legittimità  (antecedenti  e  successivi  alla  nota  decisione  della  Corte  EDU,
            Grande  Chambre,  nel  caso  De  Tommaso  contro  Italia,  e  tesi  ad  estrarre  dalla  disposizione

            contenuti  di  maggiore  tassatività  descrittiva),  non  in  contrasto  con  i  principi  costituzionali,


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