Page 94 - Bollettino I Semestre 2019
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favorevole disposta dall’articolo 6, secondo comma, d.lgs. n. 72/2015 ed ha giudicato la stessa
            priva di rilevanza  in base al rilievo che alla sanzione contemplata dall' articolo 191, secondo
            comma, T.U.F. non può riconoscersi natura sostanzialmente penale secondo i criteri Engel.


            4.3.2 Per giungere a tale conclusione la sentenza in esame innanzi tutto richiama i numerosi
            precedenti della seconda sezione civile (sentt. nn. 1621/18, 8805/18, 8806/18, 27365/18) che

            affermano che le sanzioni previste dall'articolo 191 T.U.F. non sono equiparabili a quelle previste
            per la manipolazione del mercato ex art. 187-ter T.U.F. (la cui natura sostanzialmente penale è
            stata  affermata  dalla  Corte  EDU  nella  sentenza  Grande  Stevens),  in  ragione  dalla  «diversa
            tipologia,  severità,  nonché  incidenza  patrimoniale  e  personale,  di  queste  ultime  rispetto  alle

            prime,  dovendosi  a  tal  fine  tenere  conto  anche  dell'assenza  di  sanzioni  accessorie  e  della
            mancata previsione di una confisca  obbligatoria (elementi presenti nella fattispecie scrutinata
            dalla Corte EDU)».


            4.3.3 Per quanto poi concerne specificamente la sanzione di cui al secondo comma del ripetuto
            articolo 191 T.U.F. (compresa, nel testo applicabile ratione temporis,  tra il minimo edittale di €
            5.000 ed il massimo edittale di € 500.000 e non corredata da sanzioni accessorie né da confisca)

            il Collegio ha argomentato  che – se è vero che i criteri Engel sono alternativi e non cumulativi
            (Grande Stevens, § 94) e che, ai fini dell’applicazione del criterio della  gravità della sanzione,
            deve aversi riguardo alla misura della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata
            e  non  alla  gravità  della  sanzione  alla  fine  inflitta  (Grande  Stevens,  §  98)  –  deve  tuttavia

            considerarsi che la valutazione sull’afflittività economica di una sanzione non può essere svolta
            in  termini  astratti,  ma  va  necessariamente  rapportata  al  contesto  normativo  nel  quale  la
            disposizione  sanzionatoria  si  inserisce;  contesto  che,  nella  materia  finanziaria,  contempla

            sanzioni penali finanche detentive, nonché sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle
            per gli abusi di mercato,  possono ascendere a molti milioni di euro. Donde, conclusivamente, la
            ritenuta  natura  non  sostanzialmente  penale  della  sanzione  di  cui  all’articolo  191,  secondo
            comma, T.U.F., con conseguente inapplicabilità del principio della retroattività  in mitius della

            legge penale.

            5.1 La sentenza n. 8047/19, si segnala, peraltro, perché  si pone in esplicito dissenso con le
            sentenze  della  prima  sezione  civile  nn.  4114/16  e  13433/16  (poi  seguite  anche  da  diverse

            pronunce della seconda sezione civile), laddove le stesse escludono la retroattività in mitius della
            disciplina recata dal decreto legislativo d.lgs. n. 72 del 2015 - in relazione alle violazioni di cui
            all’ articolo 191 T.U.F. e, rispettivamente, alle violazioni di cui all’ articolo 190 TUF, affermando

            che  tale  esclusione  non  violerebbe  i  principi  convenzionali  enunciati  dalla  Corte  EDU  nella
            sentenza Grande Stevens, non potendo tali principi  - calibrati nella specifica ottica del giusto
            processo - «portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come
            amministrativa dall'ordinamento interno».



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