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così: al posto del sapone si utilizzava la “lissija”, nient’altro che cenere
perlopiù bianca, con la quale si ricoprivano i panni che venivano risciacquati
nel fiume Esaro. I panni erano incredibilmente bianchi dopo il trattamento.
Le famiglie più abbienti non impiegavano solo le lavandaie, ma anche “i
panitteri”: le panettiere. Prevalentemente donne che facevano il pane, di
casa in casa, per le persone benestanti.
Settimio Prezio sottolinea che, dal 1960 in poi, Roggiano è risorta
economicamente grazie a Giuseppe Zanfini, con il centro di cultura
popolare, che ha dissodato l’analfabetismo a Roggiano. Grazie al piano
Marshall, giungevano a Roggiano vagoni di merce che veniva.
Attraverso i racconti di Prezio, il profilo che si è tracciato di Roggiano
Gravina è quello di un borgo in cui la vita era semplice, fin troppo. Scarse
condizioni igieniche, case di frasche e creta, strade di terra battuta che
costringevano le persone a camminare a piedi scalzi per non consumare le
scarpe, qualora se ne possedesse un paio. Le scarpe erano contornate di
chiodini, detti “tacci”, per far sì che le calzature si usurassero il meno
possibile e che, non di rado, causavano delle piccole ferite ai piedi che
venivano disinfettate con la propria urina.
La pasta era venduta sfusa, nei
sacchi, al mercato dove si
trovava un po’ di tutto (non
escluso escrementi di topo) e
costava circa 20mila lire al chilo.
Tanto basta per farsi un’idea del
perché bisognava ricorrere a
qualsiasi mezzo, ed attività, per
guadagnarsi da vivere.
Oggi Roggiano Gravina è ancora I panni venivano lavati al fiume con sapone fatto in casa
nota per il suo pregiatissimo olio e per il suo peperone distintivo, veri e propri
marcatori identitari che, se ben sfruttati, potrebbero costituire da loro due
validissime fonti di business.
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