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Esistevano i “supervisori”. In pratica, giacché l’analfabetismo era dilagante,
molte persone non sapevano neppure scrivere il proprio nome ed erano
costrette a firmare col segno di croce. Allora, se un manovale – che
guadagnava circa 300 lire al giorno – si recava alle poste e aveva bisogno
di sottoscrivere qualche documentazione col proprio segno di croce, c’era
bisogno che due supervisori attestassero che il segno fosse apposto
realmente dal sottoscrivente. Non c’erano altri modi di verificare la veridicità
della “firma” ed avallarla se non quello di coinvolgere dei testimoni oculari.
Ai due supervisori spettavano 50 lire a testa per svolgere la loro mansione
di “controllori”. Questa sorta di “guardie” era abusiva e riusciva a
raggranellare anche 6.000 lire al giorno, una cifra enorme per il tempo.
Roggiano è sempre stato un paese agricolo-pastorale in cui si producevano
grano, formaggi, eccetera. Gli “scapicchianti” erano persone che venivano
da fuori, spesso dall’hinterland napoletano e portavano oggettini vari in
cambio di legumi o uno “stuppiaddru” (un ottavo di tomolo) di grano. Molte
ragazze, pur di vestirsi e avere qualche oggettino bello, vendevano agli
“scapicchianti” i propri capelli.
I capelli erano venduti anche al “capillaru”, una figura che si occupava
proprio di mercificare i capelli. I capelli venivano utilizzati per farne delle
parrucche, ed ogni mese il “capillaru” raccoglieva i capelli che le donne
accumulavano dopo che, pettinandosi, ne avevano perso qualcuno magari
rimasto impigliato al pettine.
Soprattutto le donne, d’estate, quando si mieteva con la falce e qualche
spiga cadeva in terra, raccoglievano le spighe di grano dimenticate. Le
donne che svolgevano tale attività erano chiamate “spigolatrici”: esse
“spiculiavano”, ossia raccoglievano le spighe, e alla sera le lavoravano
dimodoché il chicco di grano cadesse. I chicchi di grano venivano poi
macinati a mano col mortaio e producevano una modesta quantità di farina,
utilizzata perlopiù per farne delle “pitticeddre”, frittelle.
Un’altra attività tipicamente femminile era quella della lavandaia,
“lavannara” in vernacolo roggianese. Qualche persona più facoltosa
“ingaggiava” una lavandaia che lavasse per la famiglia. Il lavaggio avveniva
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