Page 276 - Storia dell'antica Grecia Tommaso Sanesi
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I.EZIONE DICIASSETTESIMA.
       'J66
                   Sthoi'X H.
              K qual non odo in terra
              D’ Asia giammai  , nè in quanta
              l,a l'elopèa grand isola  ' rinserra
              Aver posto radici,
              Sorge non culto qui spontanea pianta
                           ’
              Che rispetto e timor mette a' rumici:
              Il glauco e sacro a' maschi parti ' olivo
                            ;
              Cui sempre verde e vivo
              Nè giovili mai , nè vecchio re  ‘ con mano
              Diatruggerè, pei 5 eh' ognor  I' osserva
              L' alto del Morio Giove * occhio sovrano
              E la Cesia “ Minerva.
                  AnrisTROFÀ  11.
              Ed altre ancor poss' io
              Laudi narrar preclare
                    , che d' un gran dio
              D esta madre città
              Gran doni son  : di bei corsieri altricc,
              Ben governarli, e correr bene il mare.
                     , lei di felice
              Tu, Saturnio ligliuol
                , 0 Nettuno  , in tanto onoi locasti  ;
              Sorte
              Chè qua pria tu insegnasti
              Porre a destrieri  il temperante morso;
              E qua  il naviglio vagatur sovresso
              Il mar sen vola con mìrabil corso
                      ’
              Alle Nereidt appresso.
          jGerto, nessun giudice di nessun paese  , se non fosse imbe-
       cille, potrebbe dubitare un solo momento ad assolvere dall’ac-
        cusa d’imbecillità l’autore d’un canto simile.
          Anche di Sofocle ci resta sette tragedie sole, mentre si sa
       che ne aveva scritte più di cento. Ma che tesoro di bellezze rac-
       chiudono! Se gli eroi del suo teatro non hanno nulla di titanico
       e di gigantesco come quelli  d’ fischilo, sono però sempre veri
       eroi  : non son troppo discosti da noi, ma sono al di sopra di noi;
       son modellati sull’uomo ideale, più bello c più nobile dell’uomo
       della realtà. E’ non ha certamente quello slancio audace e im-
       petuoso del suo rivale ma la sua poesia é continuamente grande
                 ;
       e dignitosa, e va esente da quelle inverosimiglianze, da quelle
       false similitudini, da quelle espressioni bizzarre che non man-
       cano in fischilo. Insomma, inferiore per genio a fischilo, fu però
          *  Il Peloponneso.
               , nella guerra peloponnesiaca , non avevano osato distruggere
          ^ Gli Spartani
       gli ulivi sacri dell' Attica.
          ^ Perchè  i giovani , negli esercizi ginnastici  , s’ ungevano d* olio.
          * Allude a Serse, che era giovane
                     , e ad Arebidamo che era vecchio.
          ^ L' epìteto di Morto
                 si dava a Giove in quanto proteggeva gli ulivi sacri.
          ^ Dagli occhi azurri.
          ^ Traduz. del Bcllotli; S* cdtz.
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