Page 150 - Bollettino I Semestre 2019
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Già  nella  precedente  sentenza  n.  45807  del  12  novembre  2008,  pronunciata  in  relazione  al
            medesimo  caso,  la  Corte  Suprema  di  cassazione  aveva  affermato,  fra  l’altro,  che  la  regola
            racchiusa nell'art. 521, comma 1,  cod. proc.  pen. caratterizza “una funzione indefettibile del

            giudice,  quella  della  corretta  qualificazione  giuridica  del  fatto  e  delle  relative  conseguenze
            sanzionatorie.  Regola  che  diviene  ancor  più  cogente  nel  giudizio  di  legittimità  perché  da
            contenuto e significato alla funzione della Corte di cassazione chiamata ad assicurare l'esatta
            osservanza e l'uniforme interpretazione della legge".


            Nel giudizio di legittimità, dunque, l'applicazione dell'art. 521, comma 1, cit. nel senso indicato
            dalla Corte europea è stata ritenuta conforme al principio epistemologico statuito dall'art. 111,

            comma  2,  Cost.,  per  il  quale  "...  ogni  processo  si  svolge  nel  contraddittorio  tra  le  parti,  in
            condizione di parità, davanti al giudice ....", principio che non investe soltanto "la formazione
            della prova" ma anche ogni questione che attiene la valutazione giuridica del fatto commesso.


            Secondo  quanto  statuito  con  la  sentenza  del  12  novembre  2008,  la  su  richiamata  norma
            processuale va applicata ed interpretata nel senso che la qualificazione giuridica del fatto diversa
            da  quella  attribuita  nel  giudizio  di  merito,  riconducibile  ad  una  funzione  propria  della  Corte

            Suprema di cassazione, richiede una condizione imprescindibile per il suo concreto esercizio:
            l'informazione  di  tale  eventualità  all'imputato  e  al  suo  difensore.  Informazione  che,  “qualora
            manchi una specifica richiesta del pubblico ministero, va formulata dal Collegio con un atto che
            ipotizzi tale eventualità”.


            3. Con riferimento alla medesima vicenda processuale già sottoposta all’esame della Corte EDU,
            ma pronunziando questa volta in sede di revisione, la Corte Suprema di cassazione (Sez. 2, n.
            37413 del 15/05/2013, Drassich, Rv. 256651) ha successivamente confermato che, nel giudizio

            di legittimità, il diritto del ricorrente ad essere informato in modo dettagliato della natura e dei
            motivi dell'accusa elevata a  suo carico deve  ritenersi soddisfatto quando l'eventualità di una
            diversa qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio sia stata rappresentata al

            difensore dell'imputato, in modo che la parte abbia potuto beneficiare di un congruo termine per
            apprestare  la  propria  difesa,  e  che  l'art.  6,  par.  1,  CEDU,  così  come  interpretato  dalla
            giurisprudenza della Corte europea, può ritenersi rispettato con l'informazione al solo difensore,
            tenendo conto della natura tecnica del giudizio di legittimità.


            Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha affermato: a) che la menzionata sentenza n. 36323
            del 2009 aveva precisato che la questione da esaminare, a seguito della revoca della precedente
            decisione,  era  di  puro  diritto,  non  toccando  la  essenza  contenutistica  dell'imputazione  e  la

            ricostruzione  dei  fatti  “considerata  corretta  e  logica  nella  sua  complessiva  esposizione  delle
            decisioni di merito”; b) che in ogni caso, non sussiste violazione del diritto al contraddittorio
            quando l'imputato abbia avuto modo di interloquire in ordine alla nuova qualificazione giuridica




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