Page 42 - Bollettino I Semestre 2019
P. 42
(l’uomo è stato conclusivamente assolto dall’accusa, mentre la dichiarante è stata condannata
per il reato di calunnia alla pena di anni tre di reclusione).
In particolare, nel corso del predetto interrogatorio, ella sarebbe stata sottoposta a trattamenti
degradanti ad opera di appartenenti alle forze dell’ordine, che la avrebbero schiaffeggiata,
sottoponendola inoltre a violentissima pressione psicologica e privandola del sonno (la stessa
Corte d’Appello perugina aveva rilevato l’abnormità della durata degli interrogatori, evidenziando
che le prime dichiarazioni erano state immediatamente ritrattate).
Inoltre, la donna, pur essendo già indiziata di reato, non era stata informata del diritto di essere
assistita da un legale di sua fiducia, e non era stata assistita da un difensore nel corso del
predetto interrogatorio; ella non aveva neppure fruito dell’assistenza di un interprete
indipendente, poiché quello fornitole dalla forze dell’ordine non si sarebbe limitato ad eseguire
l’incarico conferito, ma avrebbe svolto una indebita attività di “mediazione” tra l’interessata e le
Autorità procedenti.
2. L’esaurimento delle vie di ricorso interne.
La Corte EDU ha preliminarmente ribadito l’orientamento (da ultimo, Sez. I, 17/03/2016, caso
ZALYAN ed altri c. Armenia; Sez. I, 28/03/2017, caso ŠKORJANEC c. Croazia) secondo il quale
non può ritenersi il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne nel caso in cui, alla data del
ricorso, sia tuttora in corso il giudizio di rinvio, quando l’affermazione di responsabilità sia già
divenuta definitiva (nel caso in esame, il giudizio di rinvio aveva ad oggetto unicamente la
configurabilità o meno di una circostanza aggravante, mentre l’affermazione di responsabilità in
ordine al delitto di calunnia ascritto alla ricorrente era già definitiva).
3. La violazione dell’art. 3 Conv. EDU.
Ciò premesso, la Corte EDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 della Convinzione
EDU, ma sotto il solo profilo procedurale, non anche sotto quello sostanziale.
A parere della Corte di Strasburgo, sotto il profilo sostanziale non risultava adeguatamente
dimostrato il fatto che la ricorrente fosse stata effettivamente sottoposta ai denunciati
maltrattamenti e pressioni psicologiche, volti ad indurla a rendere confessione in ordine al delitto
oggetto d’indagine.
Nondimeno, l’Italia è stata condannata per violazione dell’art. 3 sotto il profilo procedurale, in
difetto dello svolgimento di una inchiesta volta ad accertare se effettivamente fosse avvenuto
quanto denunciato dalla ricorrente, il che aveva impedito di acquisire elementi idonei a
corroborare la denunciata violazione dell’art. 3 sotto il profilo sostanziale.
34