Page 497 - Storia dell'antica Grecia Tommaso Sanesi
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DALLA MORTE d’ ALESSANDRO A QUELLA D’ EUMENE. 487
sione (10 novembre) il giorno più tristo di quelli durante i quali
si celebra le Tcsmoforie, giacché le donne lo passano digiunando
nel tempio della dea. Poco tempo dopo, il popolo ateniese gli
reso gli onori che meritava, facendogli inalzare uria statua di
bronzo e decretando che il più vecchio della sua famiglia fosso
nutrito a pubbliche spese nel Pritaneo. Nel piedistallo della
statua fu incisa quest’ iscrizione :
Demostene, se in te pari alla mente
Fosse stata la p^ssa , or non sarebbe
La Grecia sotto gli straniar gemente.
« Demade non godè lungo tempo della gloria che s’era
» acquistato recentemente. La giustizia divina, che voleva ven-
» dicar Demoslene, lo spinse (nel 320) in Macedonia, perchè
» fosse punito da quelli stessi di cui era stalo il vile adulatore.
» Già lo avevano in odio : ma a quell’ occasione, c’ fu convinto
» d’una colpa che non dava luogo a giustificazione. S’intercettò
» una sua lettera con cui eccitava Perdicca a invader la Mace-
ri donia e liberar la Grecia la quale non era attaccata che a un
» filo vecchio e mezzo marcio ; e con ciò alludeva ad Anli pa-
Irò. Dinarco, di Corinto, fu il suo accu.satore. Appena esposta
ri
1’ accusa, fu tale la collera di Cassandre, che trucidò il figliolo
»
» di Demade che lo teneva fra le braccia, e comandò subito
» che fosse messo a morto Demade stesso. Cosi questo imparò
» dallo sue sciagure che i traditori tradiscono prima sé stessi :
» cosa che Demostene gli aveva predetto molte volle, ma lui
‘
» non r aveva voluta mai credere. »
Focione gli sopravvisse, ma per aver presto anche lui una
fine lacrimevole. Licurgo era già morto. Eschine era esule e
vecchissimo. Erano quindi periti o stavano per perire lutti i
grandi oratori che avevano illustrato quel secolo con uno splen-
dore inferiore di poco a quello di Pericle, e molti dei quali so-
stenevano e rappresentavano la dignità e l’indipendenza della
patria. Con loro, infatti. Alene perse ogni indipendenza , ogni di-
gnità; e non vedremo più oramai che una città servile, sempre
pronta ad applaudire ai padroni, e di nuli’ altro desiderosa che
del suo bene materiale.
Diversamente avvenne agli Etoli. Non sperando essi di
trovare indulgenza nel vincitore, lasciarono le loro città , e si
* Plut, Demost., 29-31. * ,
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