Page 170 - LA SICILIA - Cesare Ferrara
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isolano, e con esso il fasto funebre dei riti e delle parole; da
                qui  nascono  i  sapori  cupi  di  tossico  che  lascia  in  bocca
                l'amore.  Si  tratta  di  un  pessimismo  della  ragione,  al  quale
                quasi sempre s'accompagna un pessimismo della volontà

                [...] Il risultato di tutto questo, quando dall'isola non si riesce
                o non si voglia fuggire, è un'enfatica solitudine. Si ha un bel
                dire – io per primo – che la Sicilia si avvia a diventare Italia
                (se non è più vero, come qualche savio sostiene, il contrario).
                Per ora l'isola continua ad arricciarsi sul mare come un istrice,

                coi suoi vini truci, le confetture soavi, i gelsomini d'Arabia, i
                coltelli, le lupare. Inventandosi i giorni come momenti di per-
                petuo teatro, farsa, tragedia o Grand-Guignol. Ogni occasione
                è buona, dal comizio alla partita di calcio, dalla guerra di santi
                alla briscola in un caffè. Fino a quella variante perversa della
                liturgia  scenica  che  è  la  mafia,  la  quale  fra  le  sue  mille
                maschere, possiede anche questa: di alleanza simbolica e frat-

                ernità rituale, nutrita di tenebra e nello stesso tempo inetta a
                sopravvivere senza le luci del palcoscenico.

                [...] Non è tutto, vi sono altre Sicilie, non si finirà mai di con-
                tarle.»
                Paolo  Isotta  scrive:«Ha  insegnato  Leonardo  Sciascia  che  la

                Sicilia non è una. Ne esistono molteplici, forse infinite, che al
                continentale, forse al Siciliano stesso, si offrono e poi si nas-
                condono  in  un  giuoco  di  specchi»  (citato  in  Corriere  della
                sera, 4 marzo 2008)

                Andrea  Camilleri  ricorda  come  Italo  Calvino  fosse  scettico


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