Page 276 - Lezioni di Mitologia;
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                     Per tanto lume ottenebrarsi: in core
                     Tardo pentir gli nasce, e te condanna,
                     Fasto infelice del paterno sangue.
                     Come legno che Borea ha vinto, e lascia
                     Il pallido nocchiero  al vento,  ai voti,
                     Che   si faccia non sa:  del  ciel gran parte
                     A tergo   stassi, e più davanti:  i lumi
                     All'occaso rivolge, e all'oriente:
                      Stupido per timor non lascia    il freno,
                     Né lo ritiene. Non conosce    il nome
                     Dei destrieri del Sol; nel vano cielo
                      Gli sparsi mostri minacciar rimira:
                     Ma quando vide colla torta coda
                      Lo scorpione vibrar l'atro veneno,
                      Fuor di sé per paura    il freno errante
                      Abbandona. Lo sente Eto sul tergo,
                      E dei fratelli suoi la fuga accresce:
                      Non ha legge l'error: l'impeto cieco
                      Di qua, di  là, di su,  di giù  gli mena:
                      Ora toccan   le  stelle, or Cintia ammira
                      I fraterni cavalli a  lei dappresso.
                      Fuman   le nubi, la profonda terra
                      Si apre: gl'immensi boschi ardon coi monti:
                      Dà materia la messe al proprio danno:
                      Le cittadi e le genti in cener solve
                      L'ignoto incendio: mancan l'onde ai fiumi:
                      Si stringe  il mar, d'inaridita polve
                      Diviene un campo.    Il torvo volto ardia
                      Rege Nettuno sollevar tre volte;
                      Ma l'ardor non   sofferse. Alfin la Terra
                      Al cielo alzò l'inaridito volto,
                      E la mano alla fronte oppose, e disse
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