Page 11 - Il luogo della meraviglia
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A soluzione dei due quesiti vengono in soccorso le fonti documentarie che, congiuntamente alle ragioni
stilistiche, dovranno necessariamente estendersi ad una riflessione più ampia: come già ipotizzavo in
precedenza, il tessuto narrativo delle salette, da ricondurre a spazi ben più ampi, sia in larghezza che in
altezza, può ben configurarsi come un ciclo assai più articolato rispetto alle storie oggi parzialmente
leggibili.
Occorrerà rileggere nella loro completezza tutti gli episodi affrescati nella dimora cui il fregio riscoperto
offre un importante supporto, nella prospettiva, espressa in apertura, dell’esistenza di un progetto
unitario alla base dell’intero piano decorativo voluto da Ottavio Farnese.
Fra le guide e le relazioni pressoché coeve alla realizzazione degli affreschi tardo-cinquecenteschi del
Castello, si rivela di interesse la cronaca “sopra lo stato di Parma e Piacenza” di Francesco Maria
Violardo del 1601-3, ove egli ricorda;
<<Il casino del Duca ove è un bellissimo giardino de naranci, una Regia Fontana con molte statue, pitture
e giochi d’acqua fatta salire con l’ingegno dell’Alemagna (Enrigo Mulier todesco, ovvero Enrico Muller);
in alto è la fontana a due ordini, il primo è a terra piana (piano terra), il 2° è vicino alle stanze tra le quali
ce ne sono alcune meravigliosamente dipinte dal Mirola e principalmente d’una rovina che è opera
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stupenda in pittura; vi è il battisterio di figura circolare, bellissimo, alto>>.
Le parole di Violardo, fra la minuta descrizione di ciò che più stava a cuore al duca, il giardino, la
fontana, le varietà arboree, testimonia con chiarezza, l’esistenza di un affresco con un ‘battisterio’ di
figura circolare, bellissimo, alto>>: il termine battisterio, tradotto senza forzature, ad altro non
corrisponde se non al nostro tempio. E dunque Violardo, poco dopo il compimento degli episodi pittorici
descritti, riferisce di questo brano che l’aveva attirato per la sua bellezza. Egli conferma così la nostra
ipotesi: l’esistenza di una terzo ambiente, tutto affrescato, accanto ai due descritti prima, che trovavano
collocazione nel nucleo centrale del piano nobile.
L’autore attribuisce inoltre a Mirola tutti gli affreschi delle stanze: la notizia che egli riporta, di una
decorazione eseguita in tempi per lui abbastanza recenti, sembra garantire una certa attendibilità, e non
contrasta nel confermare la presenza del maestro bolognese accanto a Bertoja, il quale fu più debitore a
Mirola di quanto non si sia ad oggi ipotizzato. Pure le date di esecuzione, scalabili fra il 1570 e il 1571,
verrebbero a confermare la collaborazione fra i due artisti sino alla morte del pittore felsineo nel 1570.
Violardo fa riferimento a una ‘rovina’, dichiarandola opera stupenda in pittura. Dove si trovava? Se si
esclude la possibilità che questa fosse dipinta nel vano ritrovato, evenienza sulla quale non è possibile
pronunciarsi per la frammentarietà della decorazione riemersa, ma che sarebbe contraddetta dalla
punteggiatura, che separa nel testo il riferimento alla ‘rovina’ dal richiamo al tempio, si rivela
accoglibile l’ipotesi già avanzata, ossia che quella rovina sia ben visibile ai nostri occhi nella sala
16 Francesco Maria Violardo, “ Relatione di Francesco Maria Violardo sopra il stato di Parma e Piacenza”, 1601-3.