Page 7 - Il luogo della meraviglia
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Quello raffigurato dagli artisti è il compendio dei brani ritenuti più significativi dalla committenza: i
tratti iconografici di Pegaso, quelli, iterati, di Perseo, la figura di Medusa, quelle curiose sculture-
cariatidi, raffiguranti figure maschili e femminili colte in atteggiamenti diversi che intendono alludere a
tutti coloro che avevano avuto la sventura di incrociare il volto di Medusa.
L’indizio compendiario delle sculture della saletta intende con buona probabilità alludere alle strane
statue color piombo incontrate da Perseo nella foresta ove si era incamminato per raggiungere la
Gorgone.
L’insieme della raffinata decorazione è orchestrato in uno spazio impreziosito da elementi all’antica che
evocano gli stili pompeiani: l’occhio gira e incontra nel soffitto un grande riquadro raffigurante alcuni
putti immersi nelle nubi, che, circoscritto entro una cornice fissata ai lati da quattro ricche medaglie
raffiguranti figure mitologiche, funge da fulcro ideale dell’intera decorazione, quasi un concilio divino
che assiste alle vicende rappresentate, un dipinto affisso nel dipinto. Nella fascia sottostante in due grandi
medaglioni rettangolari riccamente incorniciati, offerti in alto da putti e accompagnati ai lati da due
sculture-cariatidi dorate, raffinate evocatrici delle vittime dello sguardo di Medusa, sono narrate due
vittorie di Perseo, quella sul mostro marino che perseguitava Andromeda e l’altra, a fronte, nei riguardi
di Atlante, che l’eroe, sulla sella di Pegaso, trasforma in una montagna grazie alla testa di Medusa.
Ai riquadri rettangolari sono alternati sei verbosi medaglioni, quattro tondi e due ovali, ove sono
racchiusi altri momenti salienti delle avventure di Perseo; grande rilevanza assumono quello ovoidale con
l’eroe che impugna la testa di Medusa, e quello tondo che lo vede a cavallo di Pegaso, scaturito dalle
gocce di sangue della Gorgone, il cui simulacro sembra aleggiare, in varie forme, in tutta la ricchissima
decorazione.
Gli autori di questo affascinante ciclo rivelano la loro identità con molteplici rimandi ai rispettivi
cataloghi grafici e pittorici e non si stenta a identificarli in Mirola e Bertoja: le cadenze linguistiche, le
morfologie e la cultura ivi presenti, nel suggerire una datazione fra il 1570 e il 1571, spostano tuttavia
l’attenzione su Bertoja, cui sembra appartenere la parte preponderante della decorazione. Resta del pari
altrettanto significativo l’apporto di Mirola, le cui propensioni romano-bolognesi, come l’enfasi
monumentale delle forme, sono qui presenti. Sarebbe spettato al solo Bertoja, dopo la morte del collega-
maestro nel 1570, il prosieguo e il completamento della decorazione.
Gli affreschi declinano gli accenti romani di Federico Zuccaro, ma soprattutto il classicismo mutuato da
Raffaello e dai testi antichi: i frequenti richiami ai quattro stili della pittura pompeiana, come ad esempio
una medietà cromatica che predilige il viola e i giallo-verdi ad imitazione del marmo, del granito e
dell’alabastro, sono patrimonio comune dei due autori, guadagnato dalle relative, dirette esperienze a
Roma. Si osservi l’innovazione fornita dall’effetto di trompe l’oeil che si crea sulle pareti, dove sono
dipinti in primo piano podi con finti colonnati, edicole e porte dietro le quali si aprono vedute
prospettiche. Le citazioni pompeiane non finiscono qui: il vano cosiddetto dei Paesaggi, pur nel pessimo