Page 143 - Bollettino I Semestre 2019
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italiana,  la  quale  risulta  sufficientemente  chiara  e  consente  al  detenuto  di  gestire  la  propria
            condotta, rispettando così il principio della certezza del diritto.


            L’ORDINAMENTO INTERNO.

            7. La premessa costituzionale. L’ambito entro cui, ormai da tempo, si muove la giurisprudenza
            di legittimità in tema di ergastolo cd. ostativo è stato delineato da una importante pronuncia

            della Corte costituzionale.

            Con la sentenza n. 135 del 2003 la Corte costituzionale dichiarò la non fondatezza della questione
            di  legittimità  costituzionale  dell’art.  4-bis,  comma  1,  l.  n.  354  del  1975  per  contrasto  con  il

            principio rieducativo della pena di cui all’art. 27 Cost., nella parte in cui pone la collaborazione
            con la giustizia come condizione di accesso ai benefici penitenziari e, in specie, alla liberazione
            condizionale,  sull’osservazione  che  non  si  tratta  di  una  preclusione  automatica,  assoluta  e

            definitiva. È infatti rimessa al condannato la scelta se collaborare o meno, e questa decisione è
            assunta  dal  legislatore  a  “criterio  legale  di  valutazione  di  un  comportamento  che  deve
            necessariamente  concorrere  ai  fini  di  accertare  il  sicuro  ravvedimento  del  condannato".  Ciò,
            peraltro, in un contesto che tiene conto dell’eventualità che la scelta di collaborazione possa non

            essere possibile, soccorrendo in tal caso le previsioni che, accertata l’impossibilità o l’inesigibilità
            della collaborazione, consentono al condannato di fruire sia dei benefici penitenziari che della
            liberazione condizionale.


            7.1. La risposta della giurisprudenza di legittimità. Entro questa direttrice la Corte di cassazione
            ha da allora reiteratamente affermato, per dirla con una delle recenti decisioni – Sez. 1, n. 7428
            del 17/01/2017, Pesce, Rv. 271399 – che “il sistema delineato dall'ordinamento penitenziario

            vigente in materia di accesso ai benefici del detenuto in espiazione della pena dell'ergastolo per
            condanne  relative  a  reati  contemplati  dall'art.  4-bis  ord.  pen.  (cd.  ergastolo  ostativo)  è
            compatibile con i principi costituzionali e con quelli della Conv. EDU, in quanto, in caso di provato
            ravvedimento,  il  condannato  può  essere  ammesso  alla  liberazione  condizionale  ex  art.  176,

            comma terzo, cod. pen. anche per i predetti reati, in relazione ai quali la richiesta collaborazione
            e la perdita di legami con il contesto della criminalità organizzata costituiscono indici legali di
            tale ravvedimento”. Ha quindi escluso che il condannato all’ergastolo per uno dei reati cd. ostativi

            sia privato in radice del diritto alla speranza che la sua detenzione possa non essere perpetua.

            Qualche  tempo  prima  la  Corte  di  cassazione  –  Sez.  1,  n.  27149  del  22/03/2016,  Viola,  Rv.

            271232  –  aveva  dichiarato,  forte  degli  insegnamenti  della  Corte  costituzionale,  la  manifesta
            infondatezza della questione di legittimità costituzionale “degli artt. 4-bis e 58-ter ord. pen., in
            riferimento all'art. 27, comma 3, Cost., nella parte in cui prevedono che, nel caso di condanna
            all'ergastolo per delitto ostativo, il beneficio della liberazione condizionale sia ammissibile solo

            se il condannato collabora con la giustizia, in quanto la possibilità per il condannato di scegliere


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