Page 138 - Bollettino I Semestre 2019
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Nel caso di specie, viceversa, il regime nazionale non preclude in maniera assoluta e con effetto
            automatico l’accesso alla libertà condizionata e agli altri benefici propri del sistema penitenziario,
            ma subordina tale possibilità alla scelta di collaborare con la giustizia.


            La Corte ha preso atto delle affermazioni del Governo a proposito del contemperamento tra le
            finalità  di  prevenzione  generale  e  di  protezione  della  collettività,  per  il  quale  è  richiesto  ai

            condannati  per  i  delitti  di  mafia  di  dare  prova  della  loro  collaborazione  con  le  autorità  a
            giustificazione  del  regime  differenziato  dell’ergastolo,  ma  anche  delle  conclusioni  del  giudice
            penale  nella  sentenza  di  condanna  a  proposito  del  patto  mafioso  che  si  connota  per  essere
            particolarmente solido e perdurante, come la natura permanente del reato dimostra secondo la

            stessa  Corte  di  cassazione  (il  richiamo  in  sentenza  è  a  Cass.  n.  46103  del  2014),  esso
            presupponendo  l’esistenza  di  un  programma  criminoso  indeterminato,  proiettato  al  futuro  e
            senza alcun limite di natura temporale. Di talché la permanenza del delitto sarebbe compatibile

            con  l’inattività  dell’associato,  potendo  il  rapporto  associativo  venir  meno  solo  in  caso  di
            scioglimento del vincolo o dissociazione del singolo.

            Nel richiamare la giurisprudenza costituzionale interna (il riferimento è alla sentenza n. 313 del

            1990)  sulla  funzione  della  pena  e  l’esigenza  di  risocializzazione  del  condannato  che  deve
            caratterizzare  la  pena  sin  dalla  sua  astratta  formulazione  normativa  e  fino  alla  sua  concreta
            esecuzione, la Corte di Strasburgo si è dunque chiesta se l’equilibrio tra le finalità di politica
            criminale  sopra  esposte  e  la  funzione  di  risocializzazione  della  pena  si  sia  tradotta,  nel  caso

            all’esame,  in  un’eccessiva  restrizione  della  prospettiva  di  liberazione  dell’interessato  e  della
            possibilità per quest’ultimo di richiedere un riesame della pena.

            La Corte, pur prendendo atto della posizione del Governo che ha precisato come,  nel caso di

            specie, l’ostacolo  rappresentato dall’assenza della collaborazione con  le autorità da parte del
            Viola non sia frutto di un automatismo legislativo, ma la conseguenza di una scelta individuale,
            ha altresì considerato la tesi del richiedente, il quale ha affermato che la collaborazione con le

            autorità  avrebbe  esposto  se  stesso  e  i  suoi  congiunti  a  rischio  di  rappresaglia  da  parte  del
            sodalizio mafioso

            Orbene, la Corte EDU dubita della libertà di tale opzione così come dell'opportunità di stabilire

            un'equivalenza  tra  la  mancanza  di  collaborazione  e  la  pericolosità  sociale  della  persona
            condannata.


            Preso atto del rifiuto espresso dal ricorrente di cooperare con il sistema giudiziario, la Corte ha
            sostenuto che la mancata collaborazione non può essere sempre collegata a una scelta libera e
            volontaria né giustificata dalla persistenza dell’adesione ai valori criminali e al mantenimento dei
            legami  con  l'organizzazione  mafiosa,  come  del  resto  ha  riconosciuto  la  stessa  Corte

            Costituzionale  con  la  sentenza  n.  306  del  1993,  allorché  ha  stabilito  che  la  mancanza  di


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