Page 133 - Bollettino I Semestre 2019
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Convenzione dell’Aja “Qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto ai sensi
            dell'articolo 3, e sia trascorso un periodo inferiore ad un anno, a decorrere dal trasferimento o
            dal mancato ritorno del minore, fino alla presentazione dell'istanza presso l'Autorità giudiziaria

            o amministrativa dello  Stato contraente dove  si trova il minore, l'autorità adita ordina il suo
            ritorno immediato. L'Autorità giudiziaria o amministrativa, benché adita dopo la scadenza del
            periodo di un anno di cui al capoverso precedente, deve ordinare il ritorno del minore, a meno
            che  non  sia  dimostrato  che  il  minore  si  è  integrato  nel  suo  nuovo  ambiente.  Se  l'autorità

            giudiziaria  o  amministrativa  dello  Stato  richiesto  ha  motivo  di  ritenere  che  il  minore  è  stato
            condotto in un altro Stato, essa può spendere la procedura o respingere la domanda di ritorno
            del  minore)  e  che,  pertanto,  essa  persegue  l’obiettivo  di  tutelare  l’interesse  superiore  dei

            bambini.

            I Giudici di Strasburgo si domandano se tale ingerenza fosse necessaria in uno stato democratico

            e  se  le  autorità  si  siano  prodigate  rapidamente  ed  effettivamente  al  fine  di  dare  adeguata
            protezione agli interessi dei bambini, in casi di lesione dei valori in gioco. Inoltre, si soffermano
            su  quanto  addotto  dai ricorrenti  e,  in  particolare,  sull’interpretazione  della  nozione  di  “grave
            rischio” data dalle corti nazionali.


            11. La Corte ribadisce che, in seno ad una domanda di rimpatrio, spetta in primo luogo alle
            autorità nazionali dello Stato coinvolto stabilire l’interesse superiore del bambino e valutare il
            caso alla luce delle disposizioni contemplate all’interno della Convenzione dell’Aja.


            La Corte rileva che la ricorrente ha debitamente provato le violenze subite dai figli attraverso
            video-registrazioni attestanti episodi di abuso. Tali circostanze erano state confermate in sede
            giudiziaria  dal  padre,  il  quale  aveva  ammesso  di  aver  usato  la  forza  fisica  per  educare  e

            disciplinare i bambini.

            Il Tribunale aveva accertato che i bambini erano stati sottoposti a violenza per mano del padre
            e pur condannando in termini generali gli abusi compiuti in danno di minori ed affermando il

            diritto al rispetto della dignità, aveva però stabilito che si trattasse di occasionali atti di violenza
            non reiterati che non potevano dunque costituire un “grave rischio”.


            La Corte evidenzia che l’interesse superiore dei bambini, il quale si estrinseca nel rispetto dei
            loro diritti e della loro dignità, è la pietra angolare della protezione offerta ai minori contro le
            punizioni corporali, le quali ultime non possono essere tollerate, dovendo gli Stati sforzarsi di

            proibirle espressamente sia nella legge sia nella pratica.

            12. Giova sottolineare che entrambi gli Stati coinvolti sono parti del Regolamento Bruxelles II
            bis, applicabile al caso in esame.






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