Page 131 - Bollettino I Semestre 2019
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Successivamente l’ufficiale giudiziario, unitamente al padre dei minori e ad uno psicologo, prese
atto del rifiuto dei bambini di tornare in Italia. Ciò indusse l’autorità di protezione dei minori a
richiedere un provvedimento giudiziario per attuare un programma di consulenza psicologica nei
confronti dei bambini, approvato dalla Corte di Tulcea, determinando la sospensione del
procedimento di esecuzione iniziato. Il risultato del rapporto, redatto all’esito della consulenza
psicologica, confermò l’ostilità da parte dei bambini ad intrattenere qualsiasi contatto con il
padre.
6. Nel marzo 2018, il padre dei minori chiese l’esecuzione in Romania di un provvedimento del
Tribunale di Parma che aveva confermato l’esclusiva potestà genitoriale.
Nel luglio 2018 la ricorrente si oppose all’applicazione di tale provvedimento.
Pochi giorni dopo, il Tribunale sospese il procedimento di esecuzione, a seguito della richiesta
della madre, rilevando che il rifiuto dei bambini di tornare in Italia con il padre era già stato
stabilito.
7. La madre dei minori ed i figli proposero quindi ricorso alla Corte EDU, lamentando la violazione
dell’art. 8 della Convenzione, in virtù della pronuncia dei giudici, i quali avevano ordinato il ritorno
in Italia dei bambini senza tener conto del grave rischio cui sarebbero stati soggetti per mano
del padre, nonché dell’art. 3 CEDU.
Orbene, va ricordato che l’art. 8 CEDU sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare,
prevedendo che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del
proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità
pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e
costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale,
alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla
prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e
delle libertà altrui”. Reclamavano, altresì, la violazione dell’art. 3 della Convenzione, il quale
prescrive che nessuno può essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti.
La Corte giudicò il ricorso ammissibile.
8. I ricorrenti sostennero l’obbligo del Governo di assicurare un ambiente sicuro per i bambini,
scevro da violenze domestiche e punizioni corporali. La garanzia di tale interesse avrebbe dovuto
prevalere su quella del genitore a stare insieme ai suoi bambini. Asserirono, inoltre, che i tribunali
nazionali non avevano esaminato compiutamente la situazione familiare e, conseguentemente,
non avevano interpretato correttamente l’interesse superiore dei bambini.
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