Page 136 - Bollettino I Semestre 2019
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criminoso, ricalcolava la pena globale, fissandola nell’ergastolo con isolamento diurno per anni
            due e mesi due.


            2. Tra il giugno 2000 e il marzo 2006 il ricorrente era sottoposto al regime detentivo speciale
            previsto dall’art. 41 bis, comma 2, della legge n. 354 del 26 luglio 1975.

            Nel  dicembre  2005,  il  Ministero  della  Giustizia  emanava  un  decreto  con  cui  ordinava  il

            prolungamento di questo regime per un periodo di un anno, tuttavia, con ordinanza del 14 marzo
            2006, il Tribunale di sorveglianza de l’Aquila accoglieva l’appello del ricorrente, ponendo fine al
            regime speciale.


            Successivamente, il Viola presentava per ben due volte domanda per il rilascio di un permesso
            di uscita.


            La  prima  richiesta  era  respinta  dal  giudice  di  sorveglianza  nel  luglio  2011,  ritenuto  non
            concedibile il permesso a coloro che, come nel caso di specie, venivano condannati all’ergastolo
            per uno dei reati di cui all’art. 4 bis della legge 26 luglio 1975 n. 354, per difetto di collaborazione

            con l'autorità giudiziaria. Con ordinanza del 29 novembre 2011, il Tribunale di sorveglianza de
            l’Aquila respingeva l'appello del ricorrente, osservando come non fosse stata acquisita la prova
            della  cessazione  dei  legami  con  l'organizzazione  criminale  e,  altresì,  che  l’osservazione
            quotidiana dell’interessato non rivelava il suo impegno in una valutazione critica del suo passato

            criminale.

            La seconda richiesta di permesso era respinta per gli stessi motivi.


            Nel frattempo, nel marzo 2015, il signor Viola presentava al tribunale di sorveglianza istanza di
            liberazione condizionale, rigettata con decisione del 26 maggio 2015 dal Tribunale di sorveglianza
            de l’Aquila, atteso che il beneficio era subordinato alla collaborazione con la giustizia e, dunque,
            alla rottura definitiva del legame tra la persona condannata e l'ambiente della mafia, elementi

            assenti nel caso di specie.

            Con sentenza del 22 marzo 2016, la Corte di cassazione respingeva il ricorso proposto contro

            tale decisione.

            3.  Il  ricorrente  ha  adito  la  Corte  EDU  ai  sensi  dell’art.  34  della  Convenzione,  lamentando  il
            trattamento disumano e degradante subito stante l’irriducibilità della sua condanna a vita, per

            non essergli stata offerta alcuna opportunità di beneficiare della libertà condizionale, nonchè
            l’incompatibilità  del  sistema  penitenziario  con  l’obiettivo  di  emendare  e  di  risocializzare  i
            detenuti, con riferimento agli artt. 3 (Prohibition of torture) e 8 (Right to respect for private and

            family life) della ECHR. La Corte ha ritenuto esistente la violazione dell’art.3 CEDU.

            VIOLAZIONE ART. 3 CEDU


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