Page 33 - Bollettino I Semestre 2019
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delle emissioni inquinanti in particolare e dell’inquinamento atmosferico in generale. Alcuni di
            questi procedimenti davanti all’autorità giudiziaria sono culminati in condanne nel 2002, 2005 e
            2007. Tra l'altro, la Corte di Cassazione ha affermato che il management dello stabilimento Ilva

            di Taranto era responsabile dell'inquinamento atmosferico, dello scarico di materiali pericolosi e
            dell'emissione di particolato (Sez. 3, n. 38936 del 28/09/2005 – dep. 24/10/2005, Riva ed altri,
            Rv. 232359 – Rv. 232360). I giudici di legittimità hanno altresì rilevato che la produzione di
            particolato inquinante persisteva nonostante numerosi accordi con le autorità locali nel 2003 e

            nel 2004.

            Con una sentenza del 31 marzo 2011 (C-50/10), la Corte di giustizia dell'Unione europea ha

            dichiarato che l'Italia era venuta meno ai propri obblighi ai sensi della direttiva 2008/1 CE del
            Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  riguardante  la  prevenzione  e  la  riduzione  integrate
            dell'inquinamento. Nel contesto di una procedura di infrazione contro l'Italia, avviata il 16 ottobre

            2014, la Commissione europea ha inoltre emesso un parere motivato chiedendo alle autorità
            italiane di rimediare ai gravi problemi di inquinamento accertati. Ha preso atto che l'Italia non
            aveva adempiuto ai propri obblighi di garantire che le acciaierie si conformassero alla Direttiva
            sulle  emissioni industriali  (direttiva  n.  2010/75/UE,  che  sostituisce  la  precedente  direttiva  n.

            2008/1/CE a far data dal 7 gennaio 2014).

            2. Invocando in particolare gli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata
            e  familiare), i ricorrenti si erano lamentati del fatto che lo Stato non aveva adottato misure

            legittime e regolamentari per proteggere la loro salute e l’ambiente, e di non essere riuscito a
            fornire loro informazioni sull'inquinamento e sui rischi connessi alla loro salute. La Corte EDU ha
            deciso di considerare questi ricorsi esclusivamente ai sensi dell’art. 8.


            Basandosi poi sull'articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo), i ricorrenti avevano sostenuto che
            vi era stata una violazione del loro diritto a un rimedio efficace.

            Basandosi, infine, sull'articolo 46 (forza vincolante ed esecuzione delle sentenze), i ricorrenti di

            cui al ricorso n. 54264/15, avevano chiesto l'avvio della procedura per una sentenza “pilota”.

            I  ricorsi  venivano  presentati  alla  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  il  29  luglio  2013  e  il  21

            ottobre 2015.

            3. La Corte di Strasburgo esaminando il primo profilo attinente alla ricevibilità, ha rilevato che
            19 ricorrenti non rivestivano lo status di vittima, dal momento che non vivevano nei comuni

            colpiti dalle emissioni dell'impianto di Ilva a Taranto – le città classificate come tali ad alto rischio
            ambientale erano Taranto, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte – e gli stessi non avevano
            dimostrato di essere stati personalmente colpiti dalla situazione lamentata.






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