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Nel cristianesimo del Basso Medioevo, l'usura era qualsiasi pagamento dovuto per un
prestito di denaro, considerato proibito in base a un passo del Vangelo di Luca
(6,34s.).
Era una categoria morale negativa anche per Aristotele che nell'Etica Nicomachea
spiegava come solo dal lavoro umano o dal suo intelletto potesse nascere la ricchezza,
mentre quella prodotta dal denaro era dannosa. Secondo Aristotele: nummus
nummum parere non potest (il denaro non può generare denaro).
Così come Aristotele, numerosi pensatori del periodo classico condannarono la
pratica dell'usura: Catone, Cicerone, Seneca, Plutarco e Platone, quello stesso
Platone che subito ci riporta alla mente il mito di Atlantide e dell’età dell’oro.
Il Concilio di Lione II del 1274 e il Concilio di Vienne del 1311 avevano infine
espressamente condannato la riscossione di interessi a fronte della concessione di un
mutuo, intendendola come una vendita di denaro con pagamento differito, i cui
interessi non erano giustificabili dalla variante del tempo, essendo il tempo un "bene
comune". Nemmeno in questo caso il concetto di usura aveva quindi a che fare con
l'entità del tasso di interesse richiesto: qualsiasi compenso fosse richiesto in cambio di
un prestito di denaro era considerato peccato.
L'usura è un peccato anche nella religione islamica. Il Corano menziona la "riba"
(usura) come il quinto peccato in ordine di gravità, e indica come usura qualsiasi
prestito a interesse.
Ma anche nelle grandi culture antiche precedenti al periodo ellenico e alle grandi
religioni monoteiste si riscontravano critiche e accuse nei confronti dell’usura intesa
come qualsiasi prestito a fronte di un pagamento di interessi, quasi come se venisse
percepito un rischio nell’applicazione sistematica di tale pratica.
I primi riferimenti alla pratica dell'usura si possono ritrovare addirittura nei testi
veda dell'India antica, nei quali ripetutamente si definisce l'usuraio chiunque presta
denaro a interesse. Tanto nei testi induisti sul prato (720-centro a.C.), così come nei
testi buddhisti e gli attacchi compaiono abbondanti riferimenti al prestito di interessi,
evidenziando un disprezzo per questa pratica. Un legislatore conosciuto di quell'epoca
impose persino il divieto alle caste superiori (bramini e kshatriyas) di prestare denaro
dietro interesse.
Anche nell’ortodossia ebraica il prestito a interesse è proibito, ma con la variante di
divieto espressamente applicato tra ebrei: il che significa che un ebreo può prestare
denaro a interessi a un non-ebreo, mentre cadrebbe in peccato se lo facesse nei
confronti di un altro ebreo.
Per cui secondo queste interpretazioni qualsiasi forma di prestito diventa un crimine
da quello dell’usuraio che strozza il proprio debitore con tassi elevatissimi al pari di
una banca che eroga un mutuo alla finanziaria che eroga finanziamenti per credito al
consumo.
Lo stesso discorso vale per i prestiti erogati dalle banche centrali nei confronti degli
stati attraverso le più recenti forme dei fondi salva-stati o l’acquisto massivo di titoli
di stato sul mercato, operazione anch’essa stigmatizzabile dai dogmi sopra descritti.
Con il trascorrere del tempo, il concetto di usura si è modificato, non intendendosi più
comune usura qualsiasi prestito dietro pagamento di interessi, ma solamente il
prestito a interessi superiori a quelli accettati dalla società. Keynes stesso afferma
nella sua opera “Teoria generale, (Libro VI, cap. V.)” che l'atteggiamento della
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