Page 239 - Il Decamerone Moderno Vol. II
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mai stata rimandata a casa, me nemmeno era finita in riani-
          mazione.  Ed  era  da  tanti  giorni,  ormai,  che  nessuno  poteva
          andare  a  farle  visita.  Nemmeno  i  genitori,  che  Clelia  con-
          tinuava ad attendere, sera dopo sera.

          Per il personale del turno di notte, la sua domanda era diven-
          tata quasi un rituale. Entrando nel reparto, ormai, si aspetta-
          vano quella sorta di benvenuto, con la vocina cristallina che
          partiva piano e si  librava come un  cardellino,  raggiungendo
          picchi degni di un soprano.

          A parte i biscotti, a parte il momento dei pasti, le giornate di
          Clelia erano tutte identiche l’una all’altra.

          Aveva perduto il senso del tempo, ormai da anni. Aveva per-
          duto  i  contorni  della  sua  esistenza.  Il  virus  non  le  faceva
          paura. Non la interessava proprio. Non chiedeva mai di cono-

          scere  i  risultati  delle  analisi.  Non  voleva  sapere  cosa  pen-
          sassero i dottori. Passava dalla spasmodica attesa dei biscotti a
          quella dei genitori. E tanto si era abituata a stare lì, che dava
          per scontato che quella fosse la sua casa, e non una sistemazi-
          one di passaggio, prima del ritorno.

          Il dottore, nel giro di visite quotidiano, le dondolava davanti,
          con  tutte  quelle  protezioni  addosso,  e  le  chiedeva  con  voce
          gentile: «Stiamo bene, signorinella?».

          Clelia sorrideva, con un’aria spensierata.

          Era  un  dottorino  giovane,  con  gli  occhiali  che  gli  si  appan-
          navano, dietro la mascherina, dentro lo scafandro che usava

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