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nell’etemita’ quel giorno benedetto: di OTTOBRE 1945.
          Non ci mandarono a lavorare. Nessuna meraviglia, succedeva

          di tanto in tanto. Ma alle dieci di mattina le sirene ci inquad-
          rarono tutti nei cortili e la bella notizia scese dal cielo. “Tutti i
          soldati Italianì, si preparino, verso mezzogiorno partiranno per
          essere rinpatriati”. Gridammo, ci abbracciammo, piangevamo,
          ridevamo, si impazzi’ addirittura qualcheduno, tra i piu’ de-
          boli svenne per la troppa commozione, ma si, ripresero subito,

          non potevano morire ora!
          E verso le tre pomeridiane, dopo il misero pasto, con i nostri

          sacchetti  sulle  spalle,  pazzi  di  gioia,  uscimmo  dai  cancelli
          della  caserma,    cinque  per    cinque,    sotto  la  severa  sorve-
          glianza delle nostre guardie, che portavano il mitra sempre in
          posizione  orizzontale,  ed  il  dito  sul  grilletto.  Ma  con  quella
          sbornia  di  gioia,  immensa,  indiscrivìbile  che  finalmente
          eravamo liberi... liberi, non facevamo caso alla faccia dei nos-

          tri mastini.
          Una tradotta lunghissima, di carri bestiame, ci aspettava in un

          binario fuori mano.

          “Sessanta ogni vagone... sessanta ogni vagone... due per due...
          avanti March”.
          “0  macchinista  metti  carbone...  quel  macchinone  fallo

          marciar…”. In ogni vagone, si cantava, si gridava, si ballava...
          Come e’ dolce la liberta’! Credevamo di averla al completo,
          ma… .
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