Page 227 - Il Decamerone Moderno Vol. II
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tate lì con spregio, senza alcuna ragione.
          «Chissà che cosa hanno dentro – si chiedeva Lavinia – queste
          persone che scelgono proprio un prato, per scaricare i rifiuti

          quotidiani».  In  effetti,  era  davvero  incomprensibile,  la
          provenienza di tutta quella spazzatura. Quel ritaglio di prato
          era  affacciato  sulla  strada.  Non  era  un’aiuola,  non  era  un
          parco. Non era niente.

          Non  lo  attraversava  nessuno.  Eppure  recava  impressi,  ogni
          giorni,  nuovi  segni  del  passaggio  degli  esseri  umani.  Evi-
          dentemente, ci andavano apposta.

          Chopin non aveva degnato di uno sguardo i guanti in lattice,
          appiccicati all’asfalto. Nemmeno quello che si era drizzato al
          loro passaggio,  come un fantoccio, spinto dall’aria sollevata
          da una macchina dei carabinieri, che faceva avanti e indietro,

          per controllare che la gente non uscisse.
          «Sei  più  intelligente  di  noi»,  aveva  sorriso  Lavinia.
          Era convinta del fatto che i cani avrebbero assunto decisioni

          molto migliori dell’uomo, se avessero governato il mondo. E
          non solo perché erano totalmente puri, generosi, incapaci di
          odiare. Erano anche privi di quel fardello pesantissimo, costi-
          tuito dalle «stanze chiuse», che gli esseri umani si dovevano
          portare dietro, per paura o mancanza di coraggio.

          Ognuno ne aveva una, di quelle stanze chiuse. Erano come un
          contenitore  immaginario,  in  cui  ogni  persona  nascondeva  il
          ricordo più doloroso della sua vita. I traumi, piccoli e grandi,


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