Page 248 - Il Decamerone Moderno Vol. II
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quotidiana  poi  ti  spinge  a  non  pensarci,  a  fare  sempre
                qualcosa, ad occupare la testa. Ma basta quell’istante in cui ti
                fermi, a chiederti che cosa stai facendo, ed è finita».

                Marisa raccontava di quei sogni, dove la madre continuava a
                spuntare,  sorridente,  mentre  lei  continuava  a  disperarsi  e  a
                cercarla:  «Provo  a  telefonarle,  per  chiederle  come  mai  sia
                viva,  e  il  telefono  sparisce.  Provo  a  fare  il  numero,  e  non
                ricordo la sequenza. Allora provo a prendere la macchina, e
                non parte. E  vado a piedi. E la strada si trasforma, diventa un

                labirinto, in cui non riesco più a trovare l’uscita. Sempre così,
                sempre così. Finché non riesco a svegliarmi».
                La collega annuì: «So bene di cosa parli. Certi palazzi pieni di

                scale,  che  non  portano  a  niente.  Inizi  a  salire,  poi  tutto  si
                modifica.  Corri  e  sali,  corri  e  sali,  ma  non  arrivi  mai  da
                nessuna  parte.  E  dentro  senti  il  cuore  che  impazzisce,  che
                batte come se stessi affrontando una maratona».

                La testa vagava, di notte, andava per i fatti suoi. E capitava di
                svegliarsi d’improvviso, spaventati, senza un perché.

                «Dicono che facciamo tantissimi sogni – disse Marisa – e che
                siano  così  veloci  da  durare  pochissimo.  Io  però  mi  ricordo
                solo l’ultimissima parte, e solo negli istanti in cui mi sveglio.
                E dopo poco mi dimentico ogni cosa».

                «Oh, anche a me succede così – sorrise la collega – mai che
                mi svegli con qualcosa di bello da ricordare…».

                In  quei  giorni  di  coronavirus,  a  morire  erano  soprattutto  le

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