Page 64 - Lezioni di Mitologia;
P. 64
52
Presentata che si era l'ostia, il vittimario por-
tava la teca, che conteneva i ferri; il sacerdote
sceglieva o il maglio o la scure o il coltello, ch'es-
ser soleva lungo, con manico d'avorio dall'oro o
dal hronzo adornato. Con un ferro detto dolabra,
delle palpitanti vittime radevano la pelle: le parti
di esse ponevano in vasi detti in genere anclahri,
che ciholi si chiamavano allorché la forma n'era
rotonda, ascanii, se quadrata. Il sangue si acco-
glieva in vasi detti sfaghii, dei quali la figura si
scorge nelle medaglie di Caligola e di Augusto. I
pezzi della vittima destinati ai numi, ovvero ai puh-
hlìci conviti, si cocevano nelle olle o vasi, detti
extarii dall'interiora, o si arrostivano nelli spiedi,
come in Omero si lecere. Si faceva ancora uso di
due altri vasi, detti salino e patella. Le acerne era-
no piccole cassette ove l'incenso era riposto; nei
canestri portavansi le primizie che si offrivano agli
eterni.
Accrescerei il catalogo di questi sacri utensili,
se in queste cose la vista, più di ogni descrizione,
non ammaestrasse; onde per voi stessi consultar
potete le accennate medaglie e i monumenti, mentre
io adempio al mio scopo venendo a favellare di
quei sacrifìzj, i quali vorrei per onore del genere
umano che non fossero mai stati in uso, come un
letterato francese pretende. A questa opinione, che
onora il core e non la mente di chi la produsse,
si oppone in primo luogo l'autorità di Erodoto, il
quale afferma che i popoli della Tauride immola-
vano ad una Venirine tatti s^li stranieri che il nau-