Page 66 - I Segreti del digiuno al Futuhat FINAL
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Muḥyīddīn ibn ʿArabī 65
Continuazione: la trasposizione di questo. Il cibo è la scienza
del gusto spirituale (ḏawq) e della bevuta (šurb) ( ). Colui che digiuna ha
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un attributo che non ha simile e chi è caratterizzato da ciò che non ha
simile, il suo statuto è che non abbia simile. Il gusto spirituale è il primo
degli inizi (awwalu al-mabādī) della teofania (taǧallī), e se persiste si tratta
della bevuta ( ). Il gusto è una relazione che ha luogo per colui che lo
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prova quando mangia ciò che egli gusta. [609] Il digiuno è astensione
(tark) e questa non ha un attributo esistenziale che si manifesti in modo
contingente (ḥadaṯa); l’astensione non è una realtà esistente che si
manifesti in modo contingente, poiché è un attributo negativo. Il cibo è
il suo opposto. È per questo che è proibito per chi digiuna prendere del
cibo, poiché invaliderebbe il regime (ḥukm) del digiuno per lui.
Quanto a ciò che si beve (mašrūb), si tratta di una teofania di mezzo
(wasaṭ); il mezzo è costretto tra due lati per colui che si trova in mezzo ad
essi. La costrizione (ḥaṣr) comporta la limitazione per ciò che è costretto.
Il digiuno è un attributo divino; Allah non ammette la costrizione né è
caratterizzato da essa o da altri limiti, ed Egli non è contraddistinto da
quello per noi. Per questo il bere è incompatibile con il digiuno; questo
è il motivo per cui è vietato bere a chi digiuna. Il bere è una teofania che
69 Nel Cap. X di “L’homme et son devenir selon le Vêdânta”, René Guénon precisa in
nota: «Le mot rasa signif e littéralement «sève», et on a vu plus haut qu’il signif e aussi
«goût» ou «saveur»; du reste, en français également, les mots «sève» et «saveur» ont la
même racine (sap), qui est en même temps celle de «savoir» (en latin sapere), en raison de
l’analogie qui existe entre l’assimilation nutritive dans l’ordre corporel et l’assimilation
cognitive dans les ordres mental et intellectuel»
70 A questi due stati (aḥwāl) sono dedicati rispettivamente i capitoli 248 e 249 delle
Futūḥāt. All’inizio del primo [II 548.4], Ibn ʿArabī precisa: “Sappi che il gusto (ḏawq),
per gli iniziati (qawm), è il primo degli inizi (mabādī) della teofania ed è uno stato (ḥāl)
che coglie di sorpresa il servitore nel suo cuore; quando esso persiste per due o più
respiri (nafas) allora diventa “bevuta” (šurb) […] Sappi che l’espressione “il primo degli
inizi” sta ad indicare che ogni teofania ha un punto di partenza, che è un gusto che ap-
partiene a quella teofania. Ciò tuttavia si verif ca solo nel caso in cui la teofania (taǧallī)
ha luogo nelle forme oppure nei Nomi divini o in quelli cosmici. Se la teofania ha luogo
in un signif cato (maʿnā), allora l’inizio è identico alla teofania stessa, poiché essa non
ha una proprietà (ḥukm), dopo l’inizio, che l’uomo possa acquisire gradualmente. Negli
altri due casi egli acquisisce gradualmente i signif cati di tutti i Nomi ognuno per conto
proprio, per cui egli vede all’inizio ciò che dopo non vede più di quel Nome. Nel caso
invece della teofania nel signif cato, l’inizio di ogni cosa è identico alla cosa stessa e
l’uomo non ricava altro da essa dopo questa comunicazione totale, ed è lui che ef ettua
una messa in dettaglio (tafṣīl) nell’esporre questa realtà unica”.